Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi in semi-libertà dopo un lungo internamento e segnati da una straordinaria fecondità creativa, Antonin Artaud condensa le linee portanti della sua esistenza e della sua opera restituendole a una nuova vita, incarnandole nel suo presente. Complici reali e immaginari gli forniscono il materiale per l’afermazione della sua esperienza, della sua scrittura e del suo teatro, della riconfgurazione della sua corporeità. Tra loro Colette Thomas, allieva delle sue tecniche di curazione, attrice del suo rinnovato teatro della crudeltà, incarnazione delle fgure del suo immaginario. Anima afne, specchio infedele, doppio. La sua biografa assume i tratti della storia vissuta, come Artaud aveva defnito la propria, di una ragazza morta, come Colette Thomas chiamerà se stessa nel suo defnitivo testamento.