musiche per leopardi
Voce recitante Massimo Munaro
pianoforte Bernardino Beggio
recital di testi leopardiani su musiche originali
testi tratti da : Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, A se stesso, Ultimo canto di Saffo, La quiete dopo la tempesta, A Silvia, Zibaldone, Scherzo, La ginestra o il fiore del deserto, L'infinito
Musiche di : Fryderyk Chopin, Bernardino Beggio, Michele Biasutti, Roberta Silvestrini, Federico Ermiro, Massimo Munaro
PRIMA RAPPRESENTAZIONE: 1 Dicembre 2001
in collaborazione con INTERENSEMBLE - con il patrocinio del Centro Nazionale di Studi Leopardi
L’incontro con la poesia di Giacomo Leopardi rischia di essere quanto mai ustionante. Ma al contempo questo incontro è sempre vitale e seduttivo. Tanto più, evidentemente, lo è stato per me se mi ha spinto ad accettare questa sfida, lanciatami da Bernardino più di un anno fa, che mi ha condotto, dopo quasi sette anni dedicati esclusivamente a dirigere attori, a calcare di nuovo la scena in prima persona. L’ultima mia interpretazione, guarda caso, era stata in Cinque Sassi quella del poeta/protagonista: in quel caso, appunto, mio fratello Marco Munaro. Anche qui ho sentito, in un altro modo, una sorta di fratellanza con Giacomo Leopardi, una empatia familiare.
Il teatro reclama sempre una voce, un corpo, dei nervi, il sangue. Cosicché un attore è sempre in bilico, quando affronta un qualunque personaggio, fra essere e apparire. Ma, nel caso della poesia, la parola impone fisicamente la presenza. Con Giacomo Leopardi questo gioco delle identità si fa ancora più sottile.
Analogo discorso vale per le musiche. Non si è trattato qui per me soltanto di amarle o di stabilire con loro un rapporto ritmico e sonoro, quanto piuttosto di avvilupparmi in esse come riverberazioni del tutto sustanziali alla parola: dagli interludi di Beggio e di Biasutti ai contrappunti della Silvestrini e di Ermirio, non più del canto reiterato da me composto e non meno di quelli rubati a Fryderik Chopin, coevo di Giacomo, a cui a noi è sembrato inevitabile associarlo. Abbiamo persino immaginato Leopardi cantare fra sé, in A se stesso, una di quelle melodie che poi, chissà, poco più tardi Chopin avrebbe reso immortale. Ciò che alla fine conta è quella facilità al canto, quella impossibile linearità con cui l’indicibile si piega ad essere detto. Ed è ciò che accomuna Leopardi a Chopin.
Non ho immaginato, o, meglio, sentito, Leopardi incurvato nel suo dolore. Quanto artefice ardente di una rabbiosa e vitale protesta.
Ho detto le sue parole come se fossero le mie.
Massimo Munaro