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NEKYIA VIAGGIO PER MARE DI NOTTE - INFERNO PURGATORIO PARADISO

NEKYIA VIAGGIO PER MARE DI NOTTE - INFERNO PURGATORIO PARADISO

INTERPRETI

Alessio Papa, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Mario Previato, Massimo Munaro 

DRAMMATURGIA, MUSICA E REGIA

Massimo Munaro

PRIMA RAPPRESENTAZIONE

prima rappresentazione, Rovigo, Spazio Lemming - aprile 2006

A Roberto Domeneghetti

 

Dopo una lunga serie di studi preparatori questo lavoro conclude la nostra ricerca, durata quattro anni, sulla Divina Commedia.
Il lavoro drammaturgico che qui abbiamo operato è diretto alla sintesi, nel tentativo, al di là della lettera e della struttura del testo, di restituire, con un gesto estremo e purificato, la complessità di un percorso che abbraccia in Dante una riflessione sulla condizione psicologica, politica e morale dell’uomo e del mondo in cui vive.
Il viaggio di Dante è un viaggio nell’al di là del mondo e insieme è un viaggio alla ricerca del senso ultimo del nostro esserci nel mondo. Dante attraversa la sua anima individuale nello specchio dell’anima universale del mondo e incontra l’anima universale nel riflesso della sua propria anima. Occorre così pensare a Dante come cittadino di una polis, e alla sua Nèkyia, (in greco viaggio per mare di notte o discesa agli inferi), a differenza di quella compiuta da Odisseo o da Orfeo, come a un tentativo di rifondazione di una comunità. Da qui la scelta di affidare ad un piccolo gruppo di spettatori (in questa caso diciassette) l’identità e il ruolo del protagonista.
Proporre a questo piccolo gruppo di spettatori una Nekyia sulle orme del viaggio dantesco, significa per noi riformulare il linguaggio del teatro in favore della sua essenza di rito radicale e trasformativo. Un rito che sappia interrogare lo statuto teatrale fino a rimettere in gioco i suoi poli fondanti: gli attori e gli spettatori. La loro relazione è qui ripensata, rispetto alla nostra precedente Tetralogia, dove il coinvolgimento era pensato per ogni singolo spettatore partecipante, in favore del corpo di una, seppure piccola, comunità.

L’Inferno di Dante è un luogo archetipico. Se da un punto di vista psichico l’Inferno, come è per il teatro, suggerisce uno sprofondamento dell’anima nel regno dei morti, del sogno e dell’inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente. A questo presente gli spettatori sono lasciati nella loro condizione quotidiana di muta impotenza.
Nel Purgatorio continuano ad avere stanza tutti gli affetti tipici della condizione umana: la paura, la speranza, il rammarico per quel che, in vita, si poteva dire o fare e che resta non detto o non fatto. Certamente si tratta di una dimora provvisoria, di un «paese di transito». In Dante l’accento cade sulla sua funzione di trasformazione di cui proprio la condizione penitente offre la chiave. Per i viventi il Purgatorio è il luogo in cui potersi riconciliare con i propri morti attraverso la preghiera e la memoria. Nel nostro lavoro, dopo una vestizione rituale, tutto assume l’andamento di una cerimonia sacra. Il maestro che ci accoglie, ci inizia progressivamente alla preparazione di un viaggio che si svela, dietro la porta buia, come niente affatto rassicurante quanto necessario.
Ci si immagina il Paradiso dantesco come qualcosa di statico, di lietamente sereno o come il luogo della grazia imperturbabile. Ma al contrario esso si da come il luogo del perturbante estremo. Perché è proprio questa grazia che ci coglie, come Dante, del tutto impreparati e che ci strugge fino allo sfinimento. Ciò che ci perturba è questa divinità vivente che è della terra, degli occhi, delle mani, delle orecchie, della pelle, di tutti i nostri sensi esplosi.
Per gli spettatori si tratta così, durante questa esperienza, di rimettere concretamente in gioco il proprio ruolo e la propria funzione: dalla solitaria passività iniziale (Inferno), alla trasformazione (Purgatorio) in attori di un gioco collettivo (Paradiso).
La scommessa per noi oggi è infatti quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo.

Questo nostro lavoro, infine, è dedicato a Roberto. Non solo perché questo progetto – come sempre – è stato discusso fra noi fino alle ultime ore della sua vita, fra mille parole, mille paure, mille entusiasmi; non solo perché senza di lui – senza il suo esempio, il suo sostegno, il suo lavoro, le sue idee – questo progetto probabilmente non sarebbe nemmeno mai stato immaginato; ma anche nella speranza che fra le tante immagini e Visioni di cui si nutre questa opera, si nasconda fra le sue pieghe e in qualche modo riverberi il sorriso del suo Volto.