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FRAMMENTI

FRAMMENTI

INTERPRETI

attori Massimo Munaro, Fiorella Tommasini, Gerardo Gasparetto, Bianca Tonello presenze Martino Ferrari e Paola Nalin e Anna Osti (per la prima versione) e Eugenia Degan (per la II versione)

SCENOGRAFIA

Martino Ferrari

MUSICHE

Massimo Munaro

COSTUMI

Barbara Natile

DIRETTORE DI SCENA

Enrico Bascarin

TECNICI

Francesco Piva e (per la II versione) Annalisa Bedendo

REGIA

Massimo Munaro e Martino Ferrari

 

PRIMA RAPPRESENTAZIONE:

Teatro Don Bosco - Rovigo, 7 giugno 1987

SECONDA VERSIONE:

Arena - Montagnana (PD), 24 giugno 1988

In FRAMMENTI si possono rilevare tre momenti che, pure in qualche modo divisi, vanno a fluire l'uno nell'altro.
La prima parte è caratterizzata esclusivamente dalla danza che visualizza (dopo una simbolica esplosione-nascita che sancisce la separazione delle cose dalla loro originaria unità) l'evolversi e l'intrecciarsi di tre primigenie emozioni: il desiderio dell'unità perduta (l'armonia); l'affermazione dell'individuo sull'individuo (il potere); e l'erotismo, come risultato e sintesi delle due emozioni precedenti.
La seconda parte dello spettacolo è vissuta, almeno inizialmente, in maniera prepoderante dagli attori, che sono quattro: due uomini e due donne. Essi incarnano personaggi reali e le scene che andranno a rappresentare, sul filo di quelle tre emozioni introdotte precedentemente dalla danza, si muovono a catturare momenti diversi, brandelli di vita, come se sul luogo della scena si aprissero improvvisamente squarci di spazio e di tempo e si potesse assistere al girotondo straniato dell'esistenza umana. Questi sei brevi frammenti di scene sono liberamente tratti da testi fra i più significativi della produzione artistica contemporanea e sono stati scelti e rielaborati con l'unico criterio della necessità. Qui infatti viene a crearsi, al di là dello sviluppo narrativo di ogni singola scena, una sorta di unica macrostoria: ogni attore darà vita a tre personaggi, con caratteristiche e vicende molto diverse, mantenendo però una propria individualità, una sola essenza di cui egli sarà di volta in volta voce e volto. Tale immagine sarà invecchiata dallo scorrere dello spettacolo. Il tempo, elemento che caratterizza la nostra realtà, scandito ogni volta dal procedere delle scene, appare così irreversibile. Parallelamente a tutto questo la presenza della danza, sempre più crescente, visualizza al contrario un mondo che rimane assolutamente incorruttibile rispetto al tempo, mondo che simboleggia tutto ciò che non è più propriamente reale, ma che pure in qualche modo esiste. I tre danzatori saranno dunque materializzazione delle ansie, dei desideri, degli inconfessati pensieri che di volta in volta i vari personaggi si troveranno a vivere. Si frappongono dunque come altro livello, di per sé innominabile.
Questa presenza diventa infine luogo d'azione e indagine dell'ultima parte dello spettacolo: si da voce alla danza e attraverso ciò si giunge alla percezione totale di questo mondo, diverso, altro da noi. Mondo ignoto, probabilmente, imperscrutabile ma anche finalmente tangibile, da cui si celano e paiono potersi dipartire altri infiniti mondi. Altri Frammenti.

Come attori condannati ad interagire sulla scena con altri attori-presenze, frammenti separati da altri frammenti, ci troviamo a vivere e a rappresentare in questo spettacolo una duplice paradossale condizione: da un lato tendiamo ad affermare con violenza la nostra identità di personaggi, dall'altro siamo destinati a soffrire delle separazione da un mondo che per il semplice fatto di esistere non può che darsi come altro da noi. dall'incontro delle due sorelle in carcere, a quello fra Robespierre e Danton, fino all'impossibile sogno d'amore di Aglavana e Meleandro tutto pare potersi ascrivere sotto il segno di questa insanabile dicotomia. 
I continui salti di spazio e di tempo sui quali lo spettacolo si struttura e che quasi spingono ad assistere ad un firotondo straniato dell'esistenza umana (brandelli di storia, schegge di una quotidianità perduta) mimano il farsi e il disfarsi di una realtà che per quanto ci è dato consocere si realizza appunto nella molteplicità e nel divenire. e in questo gioco di specchi, di rimandi continui, diventa allora possibile che un personaggio possa vestire la parte di un altro, perché in questo caos anche la centralità di un soggetto, di un io capace di strutturarsi come unitario, viene a cadere. E' quello che in fondo costituisce il gioco di fare teatro (poter essere un altro, poter essere molti), il piano sul quale viene giocata per intero anche la nostra esistenza di essere umani. 
E all fine cos'è più reale? la recitazione forzatamente naturalista di Danton o il suo gioco ossessivo con una corda che ci rimanda direttamente ad un livello pre-verbale, simbolico e fortemente emotivo? E' reale il mondo o lo è di più la rappresentazione che di esso ne abbiamo?
Nelle intenzioni lo spettacolo vuole offrirsi come evento, una sorta di geroglifico la cui decodificazione è lasciata allo spettatore