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A PORTE CHIUSE

INTERPRETI

Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Natascia Tommasini, Massimo Munaro, Alessio Papa 

DRAMMATURGIA MUSICA E REGIA

Massimo Munaro

ASSISTENZA TECNICA

Alessandro Gasperotto

 

PRIMA RAPPRESENTAZIONE:

Rovigo, Spazio Lemming, 19 maggio 2005

Dopo la Tetralogia dedicata al mito greco, che prevedeva il coinvolgimento diretto e sensoriale del singolo spettatore partecipante, e dopo la lunga gestazione di NEKYIA - Inferno Purgatorio Paradiso, questo dittico a suo modo indaga ancora i regni dell'oltre-mondo, nella rilettura e nella prospettiva, però, del pensiero esistenzialista francese. 
Il Ciclo prende il titolo de Il Rovescio e il Diritto, esplicito omaggio ad Albert Camus, e si compone di due personali riletture drammaturgiche: la prima ispirata al noto dramma di Jean-Paul Sartre, la seconda ad un romanzo di Simone De Beauvoir
Pur nell'autonomia di ciascuna parte il lavoro è pensato da noi come una sola comedìa della coscienza divisa in due atti.
Come sempre nei nostri lavori si richiede agli spettatori una qualche forma di partecipazione diretta, una assunzione di responsabilità. Rispetto al passato però gli spettatori si troveranno qui ad essere partecipi consapevoli di un piccolo fatto collettivo. Da cui, per noi, oggi la possibilità di pensare al Rovescio e il Diritto  come ad un ciclo di drammi didattici

Questo lavoro prende come oggetto d’indagine, in modo piuttosto inedito per noi, un testo teatrale: Huis Clos - PORTA CHIUSA di Jean-Paul Sartre. Pur volendo restare assolutamente fedeli allo spirito del testo e del pensiero sartiano, questo lavoro, per così dire, ne reinventa la lettera.
I suoi tre personaggi, un uomo e due donne, si rivelano,  nel nostro lavoro, in una duplicità di presenze. L’identità di ciascuno appare così, palesemente, attraverso queste molteplicità di piani, nella propria autentica complessità.
All’ambientazione a scena fissa che Sartre immagina Secondo Impero, segue qui invece un succedersi, per gli attori e gli spettatori, di quattro ambienti diversi: la sala teatrale, un salotto, una piccolissima camera da letto, lo spazio aperto del teatro davanti ad una strada – a palesare lo sprofondare, nella ripetizione, sempre più in una dimensione infera e soffocante che è esattamente pari a quella delle nostre vite.
Lo spettatore, l’Altro per antonomasia, è drammaturgicamente pensato nel suo essere vivo in questo spazio di morti. Egli è un invisibile visitatore. La sua presenza finisce però per essere sempre più gravida di responsabilità. Come sempre il Teatro suggerisce questa possibilità impossibile di incontro e di relazione, proponendo, qui in modo sottile ed ambiguo, una elementare ed implacabile reversibilità dei ruoli. Il cerchio, per una volta, non si chiude e il teatro sembra voler proiettarsi direttamente nella vita degli spettatori coinvolti.
Nulla sembra poter interrompere l’infera rete di coazioni a ripetere nella quale finiamo col trovarci invischiati. Basterebbe un gesto. Ed invece restiamo paralizzati nella  muta angoscia di una Libertà a cui non possiamo sfuggire. 

Ma sta a noi.